I dubbi Antitrust sul codice appalti: troppi decreti attuativi, débat public inefficace

Applicazione “appesa” a troppi decreti attuativi, che rischiano di minare in partenza l’obiettivo di varare una volta per tutte una riforma organica, dopo la stagione del codice del 2006 impallinato da centinaia di modifiche. Arriva dall’Antitrust, nel giorno della Relazione annuale sull’attività svolta dall’Autorità garante della concorrenza, una critica “di peso” all’impianto del Dlgs 50/2016. Nella relazione presentata ieri dal presidente Giovanni Pitruzzella non mancano i riferimenti alle attese di effetti positivi legati all’entrata in vigore del nuovo codice: dalla spinta a suddividere gli appalti in lotti per favorire la concorrenza, alla maggior efficienza delle gare grazie alle norme mirate a ridurre il contenzioso, fino alla scelta di andare verso la centralizzazione delle committenze che, nella valutazione dell’Authority dovrebbe portare alla riduzione dei costi di gestione delle gare e anche a un monitoraggio più efficiente e rigoroso delle procedure.

A fare notizia sono però i rilievi che l’Autorità di Pitruzzella muove all’impianto della riforma. Anche perchè pure sul fronte delle innovazioni positive si fa riferimento a risultati attesi, ma ancora da raggiungere. E in molti casi – ed è qui che si attaglia la critica principale – legati all’implementazione di un numero eccessivo di provvedimenti attuativi.

Troppi decreti attuativi
Sono due i rischi che secondo l’Antitrust il codice corre in seguito alla scelta di delegare l’applicazione pratica di buona parte delle riforme a decreti da varare in seconda battuta. «Come sottolineato anche dal Consiglio di Stato – si legge nella relazione – il rinvio ad un provvedimento attuativo contenuto in numerosi articoli del Codice, rischia di minare uno degli obiettivi che lo stesso Codice mirava a perseguire, vale a dire l’introduzione di una cornice regolatoria chiara, sistematica ed unitaria». Non solo. Cosi facendo, rileva l’Agcm, si innesca anche un problema di maggiore difficoltà interpretativa delle novità. « Il rinvio nel tempo dell’operatività delle norme, infatti, indebolisce l’efficacia dell’intero Codice e genera, inoltre, incertezze interpretative sulla sua applicazione». Con il rischio, è la conclusione, di pregiudicare «lo sviluppo e l’effettività delle riforme».

Débat public debole
Insieme alla critica sull’impianto generale, l’Antitrust evidenzia anche qualche dubbio di carattere più puntuale. Il primo riguarda l’efficacia della disciplòina del dibattito pubblico che dovrebbe far atterrare anche in Italia le procedure partecipazione alla definizione dei progetti e di raccolta del consenso sulla realizzazione delle grandi opere pubbliche, sul modello del dèbat public francese. Il punto è che per l’Antitrust il modello di dibattito pubblico definito dal nuovo codice (all’articolo 22) si discosta dal modello francese e per questo «presenta elementi di debolezza».

Due le critiche principali. La prima riguarda, anche in questo caso, la scelta di rinviare a un provvedimento attuativo l a definizione delle procedure operative. « La procedura prevista dal nuovo Codice degli appalti risulta essere scarsamente operativa ed efficace a causa del rinvio dei contenuti essenziali ad un futuro Dpcm da emanarsi entro un anno dall’entrata in vigore del Codice», rileva l’Antitrust. Ma ci sono anche rilievi di merito che investono direttamente l’efficiacia del dibattito pubblico all’italiana. Dove il giudizio finale potrebbe essere affidato a un osservatore tutt’altro che disinteressato, indebolendone l’autorevolezza. «La decisione di attribuire la gestione della procedura al soggetto che propone l’opera (e che quindi è, per definizione, non terzo) – è l’obiezione -, rischia di farle perdere il necessario carattere di imparzialità e, conseguentemente, di dare adito a nuovi pretesti di ricorso da parte degli oppositori».

Clausola sociale contro la concorrenza
L’ultimo rilievo riguarda la clausola sociale, che con il correttivo appena varato diventa peraltro obbligatoria per gli appalti ad alta intensità di manodopera. Un punto su cui l’Antitrust ha più volte espresso perplessità, sottolineando «le criticità concorrenziali sottese alla previsione di una clausola di protezione sociale nei bandi di gara che non fosse
rispettosa dell’autonomia dell’impresa vincitrice della gara».