Atto di  segnalazione n. 5 del 12 dicembre 2018
Recante  la proposta di modifica dell’ambito soggettivo dell’art. 80 del Codice dei  contratti pubblici
Approvato dal Consiglio dell’Autorità con delibera 1141 del  12 dicembre 2018
Il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione

1. Premessa
Tra i  compiti assegnati all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) dall’art. 213  del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti  pubblici) rientra quello di cui al comma 3, lett. c), di segnalare al Governo e  al Parlamento proposte in ordine a modifiche occorrenti in relazione alla  normativa vigente.
In  considerazione di tale competenza, si intendono di seguito formulare alcune osservazioni  sull’art. 80, comma 3, del Codice dei contratti pubblici, nella parte in cui  prevede che le cause ostative alla partecipazione alle procedure di gara  individuate dai commi 1 e 2 operino nei confronti del socio unico di società di  capitali “persona fisica”, ovvero del socio di maggioranza in caso di società  con meno di quattro soci.

2. Quadro normativo di riferimento e relative  problematiche applicative
L’art.  80 del d.lgs. 50/2016, nel disciplinare le cause di esclusione dalla  partecipazione alle procedure d’appalto, individua, al comma 3, i soggetti nei  cui confronti rileva il cd. “pregiudizio penale”, ovvero la presenza di  determinate sentenze definitive di condanna di cui al comma 1 e l’applicazione  delle misure di prevenzione antimafia di cui al comma 2.
In  particolare, il comma 3 dispone che quando l’impresa partecipante è una società  di capitali l’esclusione va disposta se la sentenza o il decreto ovvero la  misura interdittiva sono stati emessi nei confronti dei membri del consiglio di  amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, ivi compresi  institori e procuratori generali, dei membri degli organi con poteri di  direzione o di vigilanza o dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di  direzione o di controllo, del direttore tecnico o del socio unico persona  fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro  soci.

La  norma in oggetto, se da una parte amplia, rispetto al previgente Codice,  l’ambito soggettivo di rilevanza delle sentenze di condanna e delle misure  personali di prevenzione (includendo nell’elenco dei soggetti che devono  possedere il relativo requisito i procuratori, gli institori e i soggetti che  esercitano i poteri di direzione e vigilanza), nella parte che qui interessa,  riproduce il contenuto del previgente art. 38 comma 1, lett. c), del d.lgs.  163/2006, sul quale, già in vigenza del vecchio Codice, erano sorte difficoltà  applicative a causa dell’ambigua formulazione della norma e all’assenza di un  orientamento giurisprudenziale unitario   in materia.

La  questione controversa era e rimane – in considerazione della riproposizione  della norma negli stessi termini da parte del nuovo Codice – l’interpretazione  da dare alla locuzione “persona fisica” e al significato dell’espressione  “socio di maggioranza”.

Al  riguardo, fin dall’entrata in vigore della norma sono sorti due diversi  orientamenti di pensiero: secondo una prima tesi interpretativa, più aderente  al dettato normativo, la norma è applicabile – e di conseguenza i requisiti di moralità  devono essere richiesti – solo nei confronti del socio persona fisica, anche  nel caso del socio di maggioranza nelle società con meno di quattro soci .
A  fondamento di tale tesi non vi sarebbe tuttavia solo il dato letterale,  consistente nel riferimento espresso della norma alle persone fisiche e la  circostanza che le condanne penali possono rilevare solo nei confronti delle  persone fisiche, ma anche un’interpretazione sistematica della norma, la quale,  misurando il grado di affidabilità del concorrente sulla condotta morale di  determinati soggetti, necessariamente richiede, affinché possa verificarsi tale  effetto di “contaminazione”, che vi sia un rapporto di immedesimazione organica  tra il soggetto interessato e l’impresa concorrente o almeno la dimostrazione  di un effettivo potere di influenza sulla gestione dalla società concorrente.  Tale condizione si realizza sicuramente nel caso del socio unico e del socio di  maggioranza persona fisica in una realtà societaria ristretta (con meno di  quattro soci), ma non sussiste necessariamente nel caso in cui il socio sia una  persona giuridica che agisce a sua volta tramite soggetti terzi. In tal senso  si è affermato che «non appare in alcun modo equiparabile la posizione del  socio unico persona fisica a quella del legale rappresentante del socio unico  persona giuridica, restando indimostrato che la gestione effettiva sia traslata  dagli amministratori e legali rappresentanti della mandante agli amministratori  e legali rappresentati del socio unico persona giuridica» (in tal senso  Consiglio di Stato 4372/2014; Id. 1593/2016; Id. 3619/2017). Un diverso  orientamento, tuttavia, adottando un criterio sostanzialistico, si è sviluppato  in direzione correttiva ed emendativa del dettato normativo, arrivando ad  includere nel novero dei soggetti da verificare anche la persona giuridica.

Secondo  il suddetto orientamento «non è ragionevole ed anche priva di razionale  giustificazione la limitazione della verifica sui reati ex art. 38 del d. lgs.  n. 163 del 2006 solo con riguardo al socio unico persona fisica o al socio di  maggioranza persona fisica per le società con meno di quattro soci, atteso che  la garanzia di moralità del concorrente che partecipa a un appalto pubblico non  può limitarsi al socio persona fisica, ma deve interessare anche il socio  persona giuridica per il quale il controllo ha più ragione di essere,  trattandosi di società collegate in cui potrebbero annidarsi fenomeni di  irregolarità elusive degli obiettivi di trasparenza perseguiti», sicché «se lo  spirito del Codice dei contratti pubblici è improntato ad assicurare legalità e  trasparenza nei procedimenti degli appalti pubblici, occorre garantire  l’integrità morale del concorrente sia se persona fisica che persona giuridica»  (cfr. Consiglio di Stato 2813/2016; Id. 3178/2017).

Entrambi  gli orientamenti interpretativi, in linea di principio condivisibili,  presentano tuttavia i loro limiti di fronte alle realtà societarie complesse.

L’enunciato  secondo cui il controllo del possesso dei requisiti di moralità non può che  riguardare il socio (unico o di maggioranza) persona fisica, proprio del primo  orientamento interpretativo, oltre ad affermare il principio della personalità  della responsabilità penale, ha il pregio di indicare nella proprietà azionaria  (totalitaria o di maggioranza) quell’elemento oggettivo, facilmente verificabile,  che attribuisce a un soggetto diverso dagli amministratori un rilevante potere  di influenza nella gestione della società che partecipa alla gara, in virtù dei  poteri di nomina e revoca e con riguardo al promovimento di azioni di  responsabilità nei confronti degli amministratori stessi.
Tuttavia,  il mancato riferimento della norma anche alle partecipazioni indirette rischia  di vanificare l’efficacia della stessa, consentendo a un soggetto al quale  l’appalto pubblico sarebbe precluso a causa dei suoi precedenti penali di  eludere i controlli, interponendo tra sé e la società partecipante uno schermo  societario.

Il  secondo orientamento, d’altro canto, se da una parte consente di andare oltre lo  schermo della persona giuridica [in tal senso, ad esempio, in alcune sentenze i  giudici aderiscono alla tesi dell’estensione della norma alla persona giuridica  al fine di ricomprendere nell’obbligo dichiarativo il socio unico o di  maggioranza (persona fisica) di quest’ultima (Consiglio di Stato 975/2017)],  presenta ugualmente le sue debolezze argomentative, laddove conduce a un  eccessivo ampliamento della sfera dei controlli nei confronti di soggetti per i  quali è dubbio che esista un potere di ingerenza effettiva nella gestione  della  società che partecipa alla gara. E  ciò che può avvenire, ad esempio, quando la società, socia di maggioranza della  società che partecipa alle gare, sia a sua volta partecipata in misura maggioritaria  da un’altra società. In tal caso, infatti, il controllo della società di  capitali, socia unica o di maggioranza della società aggiudicatrice, dovrebbe  estendersi, per effetto del medesimo principio per cui la stessa è  controllabile, anche a quest’ultima società   (ergo ai soggetti che hanno il potere di gestione, vigilanza e controllo  di quest’ultima ).
Non  ci si avvede, tuttavia, che allargando in tal modo i controlli viene meno quel  penetrante potere di condizionamento delle decisioni della società di capitali  a ristretta base sociale che, secondo il principio sostanzialistico mutuato dal  diritto europeo (e posto a fondamento della stessa tesi dell’estensione dei  controlli nei confronti della persona giuridica), è alla base del  riconoscimento della rilevanza della situazione soggettiva del socio quando  alla gara partecipa un soggetto in forma societaria.

Conclusioni
Come  indicato nel precedente paragrafo, la disposizione in esame, a causa della  formulazione poco chiara della norma, rischia di ingenerare dubbi in ordine all’esatta  delimitazione dell’ambito soggettivo di rilevanza dei motivi di esclusione  relativi alla presenza di provvedimenti a carattere penale, favorendo  l’adozione di comportamenti disomogenei da parte delle stazioni appaltanti.
Tale  pericolo è alimentato da un orientamento giurisprudenziale non univoco sul  punto che conduce, soprattutto nel caso di realtà societarie complesse, ora ad  allargare ora a restringere l’ambito soggettivo dei controlli.

Alla  rilevata situazione di incertezza interpretativa, tanto più grave quando si  verte in materia di cause di esclusione dalla partecipazione alle gare, in cui,  come è noto, vige il principio di tassatività, si aggiunge la preoccupazione –  più volte avvertita da questa Autorità nell’ambito della propria attività  istituzionale e rilevata anche nell’ambito dell’attività di alta sorveglianza  su specifici interventi svolta dall’Unità Operativa Speciale di cui all’art. 30  del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 – che una lettura troppo restrittiva  della norma possa condurre a una facile elusione del suo contenuto precettivo.  Può infatti essere sufficiente la creazione intenzionale di una sola società,  da anteporre all’impresa che partecipa alla gara, per consentire  all’imprenditore che effettivamente ne detiene il controllo e sul quale gravano  precedenti penali escludenti di accedere agli appalti pubblici.

Non  di meno una modifica normativa volta a precisare l’inclusione anche delle  persone giuridiche tra il socio unico o di maggioranza da verificare (mediante,  ad esempio, l’eliminazione dalla norma del riferimento alla “persona fisica), potrebbe  essere una soluzione non adeguata a risolvere le criticità evidenziate in  premessa, dal momento che lascerebbe indeterminati i soggetti che, nell’ambito  della persona giuridica, dovrebbero essere effettivamente verificati.

Da  una parte infatti, i controlli potrebbero fermarsi alle figure degli  amministratori con potere di rappresentanza che hanno il potere di esprimere la  volontà dell’ente ed escludere, quindi, il socio di maggioranza indiretto  (colui che detiene la proprietà totale o maggioritaria delle quote/azioni della  società controllante), ma, secondo altra interpretazione, potrebbero  ricomprendere quest’ultimo e anche tutti i soggetti che, ai sensi del medesimo  comma 3 dell’art. 80, sono ordinariamente scrutinabili all’interno delle  società di capitali, con un ampliamento della sfera dei controlli che non solo  si ritiene eccessivo ed estremamente oneroso da sostenere per le stazioni  appaltanti, ma anche sostanzialmente inutile e in contrasto con la ratio stessa  del legislatore, poiché il controllo sarebbe rivolto verso soggetti in capo ai  quali è indimostrata l’esistenza di un potere di gestione effettiva nei  confronti della società che partecipa alla gara.

Ciò  non toglie che una modifica della norma in questione sia opportuna al fine di  dare uniformità all’applicazione della stessa sul territorio nazionale e  coordinare le attività amministrative, nonché in chiave di deflazione del  contenzioso innanzi al giudice amministrativo. Tale modifica non può che andare  nel senso sostanzialistico evidenziato dal legislatore nazionale, in conformità  alle indicazioni del legislatore europeo. Infatti, se lo spirito del Codice dei  contratti pubblici è quello di assicurare la legalità e la trasparenza nei  procedimenti degli appalti pubblici, potrebbe essere opportuno, al di là della  forma giuridica di partecipazione, verificare i requisiti di moralità non solo  nei confronti dei soggetti attraverso i quali ordinariamente la società agisce,  ma anche in capo al soggetto che, in virtù della proprietà totale o  maggioritaria del capitale della società, esercita sulla stessa un potere di  condizionamento effettivo della gestione della società, anche nel caso in cui  la maggioranza sia indirettamente acquisita tramite società controllate o  fiduciarie, in analogia a quanto previsto dal numero 1 in combinato disposto  con il numero 2 dell’art. 2359 del c.c., in relazione al controllo di diritto  diretto e indiretto.

Alla  luce delle suddette considerazioni, qualora si consideri di interesse  prioritario introdurre misure antielusive delle norme in materia di accesso  agli appalti pubblici nei confronti degli operatori economici che partecipano  in forma societaria, si segnala l’opportunità di una modifica della norma in  esame nel senso di ricomprendere tra i soggetti da verificare nel caso delle  società di capitali “il soggetto, persona  fisica che detiene la totalità ovvero la maggioranza anche indiretta delle  quote o dei titoli rappresentativi del suo capitale sociale”.

Al  contempo, si segnala l’opportunità di valutare anche un allineamento tra il Codice  dei contratti pubblici e il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice  Antimafia), laddove nell’individuare l’ambito   soggettivo dei rispettivi controlli nei confronti delle società di  capitali, l’uno (il Codice dei contratti pubblici) fa riferimento alle società fino  a tre soci, mentre l’altro (il Codice antimafia), all’art. 85, comma 2, lett.  c), fa riferimento alle società fino a quattro soci, considerato che la ratio non può che essere la medesima,  ovvero estendere i controlli ai soggetti che nell’ambito delle società a  capitale sociale ristretto, hanno un presumibile e altamente probabile potere  di controllo all’interno della società.

Raffaele Cantone