Appalti, possibile sanare l’offerta irregolare anche davanti al giudice

Il soccorso istruttorio può trovare spazio anche in sede processuale, nell’ipotesi in cui sia impugnata l’aggiudicazione in relazione a una ritenuta carenza documentale inerente i requisiti dell’aggiudicatario. Quest’ultimo infatti, qualora si tratti di una carenza solo formale – che presuppone quindi l’effettivo possesso del relativo requisito – può attivare una sorta di soccorso istruttorio nell’ambito del giudizio, purché sollevi la questione in sede di difesa e dia prova del possesso del requisito rispetto al quale si è verificata la carenza documentale.
Qualora tale prova sia fornita e il giudice la ritenga idonea, lo stesso giudice non deve pronunciare l’annullamento dell’aggiudicazione, ritenendo invece sanata la rilevata carenza documentale.

Sono questi i principi fondamentali sanciti dal Consiglio di Stato, Sez. III, 2 marzo 2017, n. 975 in una pronuncia di notevole interesse, che traccia la fisionomia di questo soccorso istruttorio “processuale” che si affianca a quello tradizionale che trova la sua naturale collocazione in sede di gara su iniziativa della stazione appaltante.
Si tratta di una declinazione del soccorso istruttorio per alcuni aspetti atipica e che non trova una propria autonoma disciplina normativa. Anche in considerazione di questa circostanza, risultano di grande importanza i principi affermati dal Consiglio di Stato, che peraltro vengono a impattare su una tematica generale di notevole rilievo e criticità, relativa alla delimitazione dei confini tra azione amministrativa e attività giurisdizionale.

Il fatto
Una centrale di committenza aveva indetto una gara per l’affidamento del servizio di vigilanza continuativa anticendio presso un’Azienda ospedaliera. A fronte dell’intervenuta aggiudicazione il secondo classificato proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo. Tra le varie censure formulate, veniva contestato che l’aggiudicatario non aveva presentato la dichiarazione in merito ai requisiti generali di cui all’articolo 38 del D.lgs. 163/2016 che avrebbe dovuto essere resa dal socio di maggioranza della società aggiudicataria stessa.
Tale carenza verrebbe in rilievo in relazione alla previsione contenuta nell’ultimo periodo del comma 1, lettera c) dell’articolo 38, secondo cui nel caso di società le cause di esclusione previste dalla disposizione operano, tra l’altro, nei confronti «del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci».
Il Tar Friuli Venezia Giulia ha rigettato il ricorso, respingendo anche questa specifica censura. La stessa – insieme alle altre – è stata riproposta davanti al Consiglio di Stato, che si è pronunciato con la sentenza in commento.

La questione di merito
La questione di merito si incentra sulla corretta interpretazione da dare alla disposizione sopra riportata. Il dubbio interpretativo discende dal fatto che la norma, mentre nel caso di socio unico fa esplicito riferimento al socio persona fisica, nell’ipotesi di società con meno di quattro soci parla genericamente di «socio di maggioranza», senza precisare se anche in questo caso si debba fare riferimento solo al socio persona fisica o anche al socio persona giuridica.
Il Consiglio di Stato – uniformandosi a una precedente pronuncia di altra Sezione – ha accolto la tesi secondo cui, in mancanza di una specificazione in senso restrittivo, l’espressione «socio di maggioranza» va riferita tanto al socio persona fisica che al socio persona giuridica. E ciò in coerenza con la ratio della norma, che è quella di accertare i requisiti di idoneità morale nei confronti di tutti i soggetti che hanno il potere di condizionare la volontà degli operatori che stipulano contratti con i committenti pubblici.

Di conseguenza, nel caso di specie la dichiarazione in merito alla sussistenza dei requisiti generali di moralità di cui alla lettera c) del comma 1 (condanne penali) doveva essere resa anche dal socio di maggioranza persona giuridica (socio di maggioranza della società aggiudicataria) e per esso dalla persona fisica che esercitava l’effettivo potere di controllo sulla stessa.

Il soccorso istruttorio “processuale”: ammissibilità e caratteristiche
Prescindendo dall’analisi puntuale della tesi interpretativa accolta dal Consiglio di Stato – che in alcuni passaggi suscita qualche perplessità – vengono a questo punto introdotte le affermazioni relative al così detto soccorso istruttorio “processuale”, che rappresentano senza dubbio il nucleo più importante della pronuncia.
Questa particolare forma di soccorso istruttorio viene configurata nell’ipotesi in cui l’offerta aggiudicataria risulti carente sotto il profilo meramente formale, cioè in relazione a una mancanza documentale relativa alla dimostrazione di un requisito di partecipazione; e tuttavia l’ente appaltante non ha rilevato tale carenza in sede di gara. Nel contempo, tale carenza documentale – anche se correttamente e tempestivamente rilevata dall’ente appaltante – non avrebbe comunque determinato l’esclusione del concorrente, ma avrebbe comportato la necessaria attivazione del soccorso istruttorio.

Inquadrata nei termini indicati la fattispecie, il Consiglio di Stato opera alcune considerazioni preliminari sulla ratio cui è ispirata la disciplina del soccorso istruttorio. Tale ratio risponde all’esigenza di evitare che la procedura di gara si trasformi in «una sorta di corsa ad ostacoli fra adempimenti formali imposti agli operatori economici e all’amministrazione aggiudicatrice». In un’ottica di tipo sostanzialistico, l’obiettivo della gara è quello di selezionare la migliore offerta; in questa logica, il soccorso istruttorio mira proprio a evitare che carenze dell’offerta meramente formali comportino l’automatica esclusione della stessa, pregiudicando magari le offerte migliori sotto il profilo contenutistico.

In questo contesto il soccorso istruttorio può allora trovare legittimo spazio anche in sede processuale. Al riguardo, la prima obiezione da superare è che ammettere il soccorso istruttorio in relazione ai requisiti di partecipazione una volta che sia intervenuta l’aggiudicazione produrrebbe un’immediata lesione della par condicio tra i concorrenti.
Questa obiezione viene respinta dal giudice amministrativo sulla base della dirimente considerazione secondo cui il soccorso istruttorio processuale verrebbe ad operare in relazione a una carenza documentale meramente formale, posto che il concorrente risultato aggiudicatario era effettivamente in possesso del requisito richiesto fin dall’inizio della procedura e per tutta la durata della stessa.

Ricorrendo questa condizione non si pone un tema di violazione della par condicio, in quanto la regolarizzazione documentale – qualora vada a buon fine – mira unicamente ad attestare la sussistenza di situazioni preesistenti – l’effettivo possesso del requisito – rispetto a una carenza formale che, se l’ente appaltante avesse tempestivamente rilevato, avrebbe comunque comportato l’attivazione del soccorso istruttorio in sede di gara (senza, evidentemente, che si ponesse alcun problema di alterazione della par condicio).
In sostanza, il soccorso istruttorio processuale consente di attivare quel procedimento finalizzato alla sanatoria documentale che avrebbe già dovuto trovare il suo spazio fisiologico in sede di gara. E se in tale sede non si pone alcun problema di par condicio, non vi è ragione perché la violazione di tale par condicio debba essere invocata se il medesimo procedimento viene attivato in sede giudiziale.

Le modalità del soccorso istruttorio processuale
Una volta ammessa l’astratta legittimità del soccorso istruttorio processuale, il Consiglio di Stato si preoccupa di indicare attraverso quali modalità lo stesso possa concretamente trovare spazio nell’ambito del giudizio.
Una prima soluzione teoricamente percorribile sarebbe quella in base alla quale il giudice, a fronte della riscontrata carenza documentale dell’offerta dell’aggiudicatario, dovrebbe annullare l’aggiudicazione, rinviando le parti davanti alla stazione appaltante per l’attivazione del soccorso istruttorio. A valle del relativo procedimento la stessa stazione appaltante assumerebbe le conseguenti determinazioni in merito all’ammissione o all’esclusione del concorrente.
Questa soluzione – per quanto astrattamente coerente con l’iter procedimentale della gara- appare tuttavia contraria ai principi della concentrazione delle tutele e della rapida definizione del procedimento amministrativo.

Da qui la diversa soluzione, che si fonda appunto sulla piena introduzione del soccorso istruttorio in sede di giudizio. Al riguardo, il Consiglio di Stato sottolinea in primo luogo come la questione relativa alla sanabilità della carenza documentale non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma presuppone sempre un’iniziativa processuale dell’aggiudicataria.
Tuttavia tale iniziativa non deve prendere necessariamente la forma del ricorso incidentale, potendosi manifestare anche come un mera deduzione difensiva inserita nella relativa memoria. Tale deduzione è tuttavia gravata da uno specifico onere probatorio: l’aggiudicataria deve cioè dimostrare nell’ambito dei suoi scritti difensivi che la carenza riscontrata è meramente formale, fornendo prova dell’effettivo possesso del requisito di cui si discute fin dal momento di avvio della procedura di gara e per tutta la durata della stessa.
In sostanza, la deduzione difensiva deve superare la così detta prova di resistenza: l’aggiudicataria cioè non può limitarsi a contestare la mancata attivazione del soccorso istruttorio da parte della stazione appaltante, ma deve dimostrare che, se fosse stato tempestivamente attivato, avrebbe comportato la sanatoria della carenza documentale della propria offerta.

Se la prova fornita dall’aggiudicatario in merito all’effettivo possesso del requisito viene ritenuta dal giudice idonea e sufficiente, viene ad essere sanata la carenza documentale (e il ricorso contro l’aggiudicazione dovrà essere conseguentemente respinto). È dunque in questi termini che verrà a configurarsi il buon esito del soccorso istruttorio «processuale», nel senso che il giudice, accertata che la carenza riscontrata è solo formale, dichiara sanata detta carenza a fronte dell’avvenuta dimostrazione dell’effettivo possesso del requisito.
Questa soluzione vale però solo nell’ipotesi in cui vengano in considerazione violazioni di tipo esclusivamente formale. Conclusioni del tutto diverse si devono invece trare nell’ipotesi in cui le carenze dell’offerta non siano solo formali – inerenti cioè a mancanze o irregolarità della documentazione prodotta – ma involgano una mancanza sostanziale del requisito o comunque sollevino il dubbio sulla sua effettiva sussistenza.

Così, se il giudice ritiene – nell’ipotesi in cui venga in rilievo un accertamento vincolato, che non implica cioè valutazioni di tipo discrezionale – che il requisito non sussista, deve procedere all’annullamento dell’aggiudicazione. Qualora invece la sussistenza del requisiti sia dubbia, anche in considerazione del fatto che il relativo accertamento comporta valutazioni discrezionali, non potrà che annullare l’ammissione del concorrente e rimettere la procedura di gara nella mani dell’ente appaltante, che dovrà attivare il procedimento di soccorso istruttorio e, all’esito dello stesso, adottare i relativi provvedimenti conclusivi.

Il caso di specie
L’applicazione dei principi enunciati al caso di specie ha portato il giudice amministrativo ad annullare l’aggiudicazione.
Secondo l’interpretazione accolta nella pronuncia e sopra ricordata, il socio di maggioranza persona giuridica – nella persona fisica del soggetto che esercita il potere di controllo – avrebbe dovuto rendere la dichiarazione in merito all’insussistenza di determinati requisiti di idoneità morale.
Tale dichiarazione non è invece intervenuta in sede di gara, ma l’ente appaltante non ha rilevato tale carenza e non ha conseguentemente attivato il soccorso istruttorio. L’aggiudicatario, a sua volta, non ha sollevato un’eccezione difensiva formale su tale aspetto e soprattutto non ha fornito alcuna prova documentale in merito all’effettivo possesso del requisito cui la mancata dichiarazione si riferiva.
In sostanza, l’aggiudicatario non ha sfruttato nell’ambito del giudizio la possibilità di regolarizzazione documentale che presuppone un adeguato assolvimento dell’onere probatorio.
A fronte di tale omissione e facendo anche applicazione del principio di autoresponsabilità che grava su tutti i concorrenti, non vi sono gli estremi per ritenere che nel caso di specie possa trovare spazio in senso positivo il soccorso istruttorio processuale, con la naturale conseguenza del necessario annullamento dell’aggiudicazione.