Subappalto, Bruxelles boccia Codice e Correttivo: eliminare i limiti

In contrasto con le norme e la giurisprudenza. In contraddizione con gli obiettivi di favorire le Pmi e garantire la libera circolazione di merci e servizi. Non ci sono giri di parole nella nota con cui, proprio nei giorni in cui Governo e Parlamento sono impegnati nella revisione degli aspetti critici della riforma appalti, la Commissione europea chiede all’Italia di correggere l’impostazione del nuovo codice (e anche del decreto correttivo ora all’esame delle Camere) sul subappalto. La lettera, in risposta a un esposto presentato dai costruttori, è firmata dal capo della direzione generale Mercato interno della Ue Lowri Evans.

Al centro della questione c’è la delicata disciplina dei subappalti, cioè delle quote di lavoro che le imprese vincitrici dei contratti con la Pa possono girare ad altre imprese, evitando di eseguirli in proprio per scelta organizzativa o per carenza di capacità specifiche. Sembrano tecnicismi. Ma è da norme come questa che passano impostazioni di politica aziendale che riguardano decine di migliaia di imprese.

Il nuovo codice ha limitato a una quota del 30% da calcolare sull’importo complessivo del contratto la possibilità di subappltare i lavori. Con il decreto correttivo, da varare entro il 19 aprile, il governo punta su regole meno restrittive. La quota del 30% resta, ma viene limitata alla tipologia di lavorazione prevalente in cantiere, rendendo sostanzialmente libera l’assegnazione in subappalto delle altre lavorazioni. In questo modo verrebbe ripristinata la disciplina del vecchio codice, in vigore fino al 2016.

Da Bruxelles arriva però una bocciatura di entrambe le soluzioni. «La Corte di Giustizia – si legge nella nota della direzione generale Ue – ha ripetutamente censurato i limiti imposti dagli Stati Membri al subappalto.». Di più. Citando la sentenza con cui i giudici europei hanno bocciato le norme polacche che impongono alle imprese di eseguire in proprio almeno il 25% dell’appalto (sentenza Wroclaw, pubblicata lo scorso 14 luglio) la direzione generale segnala che «secondo la Corte il ricorso al subappalto ai sensi della stessa Direttiva è, “in linea di principio (…) illimitato” ».

La direzione generale definisce «molto preoccupanti» i vincoli previsti dal correttivo perché «la previsione di limiti quantitativi generali e astratti applicabili laddove il subappalto è consentito, sembrano in netto contrasto con le norme e la giurisprudenza UE sopra esposte». In più, sottolinea la nota, si rischia di andare contro anche all’obiettivo di favorire la partecipazione delle Pmi agli appalti, contraddicendo uno dei punti qualificanti delle nuove direttive.

Un altro punto di contestazione riguarda poi la legittimità della norma che concerne il divieto di ribasso superiore al 20% per le prestazioni affidate in subappalto. «Riteniamo – è scritto nella lettera – che la disposizione rischi di generare irregolarità in fase applicativa, e che sarebbe pertanto opportuno chiarirne la formulazione, intervenendo sul testo del decreto o emanando documenti interpretativi»

Tornando al subappalto, il documento messo a punto da Bruxelles, ora in mano anche al ministero delle Infrastrutture e a Palazzo Chigi, anticipa in qualche modo anche le obiezioni sollevate nel parere del Consiglio di Stato, che suggerisce al Governo di mantenere inalterato il limite del 30% ai subappalti previsto dal nuovo codice. Secondo Palazzo Spada la sentenza della Corte Ue sul caso polacco sarebbe poco significativa perché riferita alla disciplina europea del 2004, ora superata dalla nuova direttiva 24/2014. Non la pensa così la direzione generale Ue, che invece ribadisce la richiesta di rimuovere i vincoli:«L’attuale quadro normativo europeo, recentemente aggiornato dalle Direttive adottate nel 2014, – si legge – non pare giustificare un diverso orientamento in materia».

Di qui la richiesta finale «alle Autorità italiane» di tenere conto «dei rilievi svolti circa l’attuale disciplina in materia di subappalto» nella «redazione del decreto correttivo», «correggendo le disposizioni interessate». Una sorta di “cartellino giallo” che, in caso contrario, rende abbastanza probabile l’ipotesi di una procedura di infrazione